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Il Casino dell'Aurora Pallavicini

 
 

 

 

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Mostra:
"Mostra di Paul Klee"
18 dicembre 1979 - 18 gennaio 1980
 »  Dipinti e disegni a Roma
per il centenario della nascita
Klee, mistero della creazione
di Francesco Vincitorio. "La Stampa"
  ROMA - Circa 100 opere di Paul Klee sono esposte, fino al 18 gennaio, a Roma, al Casino del Palazzo Pallavicini Rospigliosi, sotto la celebre Aurora del Reni. La mostra è nata per celebrare il centenario della sua nascita. L'iniziativa è della principessa Pallavicini e di un apposito comitato. Mentre vari musei stranieri fanno a gara nel ricordare questo anniversario, si è pensato che non era giusto che l'Italia lo dimenticasse. Grazie alla collaborazione del figlio del pittore, ci sono 21 dipinti, 47 acquarelli, 40 disegni, nonché una piccola saletta con quadri degli «amici di Klee», Kandinsky in testa.

L'opera piú antica è una piccola testa, a matita, del 1910. L'ultima è la nota tempera, intitolata L'armadio, del 1940, cioè l'anno della sua morte. Fra questi due termini, vari esempi della sua produzione che, come si sa, fu di oltre 9000 pezzi. Non è ciò che si dice una mostra cospicua. A ogni modo piú che sufficiente per un approccio a Klee. L'allestimento è invece discutibile, soprattutto per l'ingombro e per l'illuminazione che spesso trasforma i dipinti in diapositive.

Particolare curioso, la celebrazione avviene a poche centinaia di metri dal luogo dove Klee alloggiò durante il suo «viaggio di studio», nell'inverno 1901-1902. Era appena ventiduenne e il primo incontro con Roma venne festeggiato con 3 litri di Barbera, scolati insieme con un amico, e relativa pesante sbornia. Lo raccontò egli stesso nei Diari con quella vena di ironia che tanta parte ha avuto nel suo lavoro.
La città e la naturalezza del popolo gli andarono subito a genio e questo periodo fu decisivo per la sua formazione. Di fronte a tante opere del passato ebbe dubbi, incertezze e, a volte, si sentì un epigono: si ricordi «l'effetto di bastonata» vedendo il Michelangelo della Sistina.

Ma, in definitiva, il tirocinio romano servì a fargli capire che « l'uomo quando ha il senso e l'esperienza della storia è piú ricco ed ha una piú grande capacità. Si sentì umile e decise di diventare «soltanto un essere umano che vuol salire di qualche gradino, proprio salire, operare», insomma, come egli scrive nel curriculum redatto a pochi mesi dalla morte, fu a Roma che gli si rafforzò il proposito di istruirsi nella pittura come missione della sua vita. E fu qui che, per, le impressioni destate in lui dall'architettura, si affinò la sua capacità di apprezzare la forma e, comprese quella «architettonica dell'arte figurativa» che divenne la base della sua ricerca.
Osservando i suoi dipinti e i suoi disegni appare chiaro il significato di questa strana espressione. E perché, fino all'ultimo, insistette sulla necessità di continuare a costruire: «Aggruppare fra loro elementi formali in modo puro e logico, che ognuno di essi si trovi in quel punto e nessuno sia dì pregiudizio all'altro».

Vien da sorridere pensando alla leggenda dell'infantilismo dei suoi lavori. Siamo, al contrario, all'intuizione dell'essenza del naturale processo creativo. Intuita la regola, procedere a una semplificazione. L'arte come simbolo della creazione. Una specie di gioco in cui si imitano le forze che hanno creato e creano il mondo. La fede che nella sua forma presente non è questo l'unico mondo possibile. Rivendicare il diritto di rimodellare l'immagine della natura, con quella libertà che è della natura stessa. In conclusione, prolungare quell'atto creativo, dal passato al futuro, conferendo durata alla genesi.

Sarà il pensiero tenace di tutta la sua esistenza. Spingersi in prossimità di quel fondo segreto, misterioso, dove la legge primordiale alimenta ogni processo vivente, ne determina ogni moto temporale e spaziale, tutte le funzioni. Scrisse una volta: «Dal palpito del mio cuore sono sospinto piú in giú, verso il fondo, l'origine... nel fondo primordiale della creazione, dove è custodita la chiave segreta di tutto».

La sua convinzione e il suo cruccio fu, com'è inciso sulla sua pietra tombale, che questa inesausta ricerca lo portò «piú vicino del consueto al cuore della creazione e ancora troppo poco vicino».
Con straordinaria penetrazìone sarà lui stesso a sottolinearne le cause: «Ce ne manca ancora la forza, a noi che non abbiamo il sostegno di un popolo».

Sono parole che questa mostra richiama, con prepotenza alla mente. Lo sguardo vaga fuori dalle finestre, sulla piazza del Quirinale, con le statue dei Dioscuri in primo piano. La folla si accalca, Klee, ormai è un nome mitico, ma quanto lontano quel sostegno di cui sentiva così acutamente il bisogno.

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