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Rassegna stampa
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Mostra:
"Mostra di Paul Klee"
18 dicembre 1979 - 18 gennaio 1980
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Nel centenario della nascita anche Roma
dedica una mostra al pittore
Paul Klee tra realtà e sogno
di Lorenza Trucchi. "Il Giornale dell'arte"
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Paul Klee inizia il proprio Diario (pubblicalo postumo dal figlio Felix nel '56) nel 1898, a 19 anni, e lo chiude nel 1918 quando ormai consapevole della raggiunta maturità creativa è dei tutto assorto nel proprio lavoro. Da allora la sua pittura diviene un unico, ininterrotto diario, sebbene immune da riferimenti contingenti.
Nel 1901 Klee fa il suo primo viaggio importante. Sceglie la strada dell'Italia, come un po' tutti gli artisti tedeschi da Dúrer a Goethe a Mann, e subito il Diario prende una piega più vivace, aperta. Dopo una brevissima sosta a Milano, dove ha appena il tempo di visitare in fretta la Galleria di Brera e di assaggiare il «risotto», arriva a Genova e da qui ha veramente inizio la sua densa avventura italiana.
È un inizio disteso e solenne: «Arrivo a Genova di notte. Il mare al chiaro di luna. In camera entra un'aria magnifica. Atmosfera severa. Per la prima volta il mare di notte visto da un'altura. Il porto imponente, giganteschi piroscafi, emigranti, lavoratori; la grande città meridionale... ». Per Klee Genova è dunque il primo incontro con il Mediterraneo, il primo richiamo del Sud; l'unico posto dove per lui realtà e sogno coincideranno, dove incomincerà il suo lungo tirocinio con il colore e la luce, conclusosi tredici anni più tardi in Tunisia. Ma allora questo fuggevole incontro con la «città meridionale» lo turba senza ancora sedurlo: «Ho portato molta malinconia oltre il Gottardo. Dióniso non ha effetti semplici su di me».
È a Roma, dove si tratterrà per cinque mesi, che Dióniso ha finalmente il sopravvento.
Klee è conquistato dalla Roma «affascinante» e schietta del popolo mentre resiste a quella aulica e «pericolosa» di Bernini, dei Barocco. Il suo umorismo si affina, la sensualità esplode «come una pieghevolezza della carne e una forza irrefrenabile», l'arte si invera nella bellezza, simbolizzata dall'amatissimo Leonardo.
È in Italia che Klee sente per la prima volta il rapporto coincidente tra arte e vita. Non sotto solo il Foro e il Vaticano e i Musei ad interessarlo ma i quartieri più dimessi, gli spettacoli più quotidiani. Preso dalla bellezza dei luoghi, dall'affabilità del popolo, dalla giovialità del costume si fa ardito, loquace, persino impertinente nei giudizi. Una gustosa galleria di personaggi famosi (la Duse, Cléo de Merode «di una bellezza assoluta», il « minuto ma prodigioso» tenore Bonci) mescolata ad una folla di figure minori, popolano il suo diario italiano. Pare quasi che il pittore divenga di giorno in giorno più italiano egli stesso («Essere uomo, essere antico, ingenuo e insignificante e tuttavia felice... Essere napoletano per qualche tempo») mentre l'atmosfera fertile ma un po' opprimente di Monaco si fa lontana, tanto che, in un impeto di sincerità, esclama: «Decisamente Goethe è il solo tedesco sopportabile, tedesco per caso come lo sarei probabilmente io stesso».
L'Italia è dunque per Klee una grande lezione d'arte e di vita. I suoi giudizi su Leonardo, su Michelangelo, su Botticelli, su Pinturicchio, le visite accurate nei musei con il Cicerone alla mano, e alla «mostra annuale» della Galleria d'Arte Moderna di Roma dove solo i francesi ed in particolare Rodin lo entusiasmano, dimostrano come da questo soggiorno egli ricavi una fiduciosa sicurezza nel proprio destino di pittore. Né bisogna dimenticare che il suo mondo pittorico, reale e astratto un mondo senza peso, senza aria, senza atmosfera, senza lotte apparenti, mosso da onde musicali, immerso in una fissa armonia da acquario già trova una illuminante anticipazione nelle pagine dei Diario dedicate al «suggestivo» Acquario di Napoli e alle pitture pompeiane del Museo Nazionale: «Quest'arte mi è così vicina. Mi hanno colpito le silhouettes. II colore decorativo. Sento che questa produzione riguarda proprio me. È per me che tutto questo è stato creato e riportato alla luce. Mi sento più forte».
In occasione del centenario della nascita del pittore (Berna 18 dicembre 1879) e a circa ottanta anni dal suo primo viaggio italiano anche Roma, allineandosi agli «omaggi» tuttora in corso a Stoccarda e Monaco, onora Klee con una retrospettiva (la maggiore dopo quella della primavera dei 1970 alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna) allestita al Casino dell'Aurora, Palazzo Pallavicini. La mostra che comprende 21 oli, 47 acquarelli, 40 disegni e 17 opere di artisti collezionati dallo stesso Klee è stata realizzata da un comitato presieduto da Camilla Pallavicini, con la consulenza di Carmine Benincasa e la collaborazione fondamentale del figlio del pittore Felix, solerte custode della Fondazione Klee di Berna dalla quale provengono tutte le opere.
Una volta di più l'impressione centrale che si ricava visitando l'esposizione è quella della grande unità di fondo. Un'unità che trascende i singoli periodi che rende quasi inutili le date, che annulla gli stessi riferimenti storici e i rapporti, diretti o indiretti, con i vari movimenti o tendenze dei tempo: l'espressionismo e il Blaue Reiter, l'orfismo e l'astrattismo, il dadaismo e il surrealismo. Klee è infatti uno dei pochi artisti, se non addirittura il solo, che non ha creato opere maggiori e minori ma una unica, immensa opera divisa in innumeri parti tutte organicamente interdipendenti e complementari. Il criterio del capolavoro non esiste per Klee sempre egualmente impegnato e ispirato nel registrare sia sul foglietto più fortuito, sia sulla tela più meditata, il suo intimo soliloquio con il creato, in un perpetuo andirivieni tra realtà e sogno conscio e inconscio. Non c'è divario tra astrazione e figurazione, due «modi» dei quali egli si serve indifferentemente per realizzare quello che è lo scopo maggiore della sua ricerca: «rendere visibile l'invisibile».
Klee è il pittore della libertà, anzi è la libertà stessa; non un dato di fatto bensì una conquista che va sempre mantenuta viva e sempre verificata. Ma se non c'è libertà per chi non si conosce non c'è neppure per chi non sappia uscire dal proprio particolare. Pur convinto individualista Klee seppe guardare oltre il proprio Io. L'onda calda e armoniosa della sua creatività si ripercuote nell'Universo intero. Annota in una delle ultime pagine di Diario: «Io vado anzitutto ad annegare nella totalità, e mi trovo così ad un livello di fraternità nel mio rapporto verso il prossimo e nei riguardi di tutto l'abitato terrestre... Il terrestre cede in me di fronte al pensiero cosmico». Di questo senso di libertà, di questo rispetto di se stesso e degli altri, Klee ha dato massima prova alla Bauhaus dove insegnó dal 1920 al 1931. Egli si impose allora un'analisi sistematica dei proprio lavoro. I Padagogisches Skizzenbuch editi nel 1925, l'Uber die moderne Kunst la celebre conferenza tenuta a Jena nel '24 e le lezioni riunite in «Teoria della forma e della figurazione» (uscito in Italia da Feltrinelli nel '59 con una illuminante prefazione Argan) ci dimostrano come il bersaglio si sposti dall'arte in sé al processo creativo.
Coscenzioso ed ispirato, fermo e umano, capace di portare il rapporto con gli allievi su di un piano di civile collaborazione senza mai cercare di influenzarne o forzarne la personalità, Klee fu un isegnante esemplare sino a diventare, come lo definì Gropius, «l'ultima istanza morale della Bauhaus». È toccante la sua intrepida ma umile volontà nel portare la poetica su un piano didattico riuscendo quindi a farne una metodologia. Metodologia che vuole essere soprattutto un ausilio alla chiarificazione e che non si cristallizza mai: «Ci si aggrappa alle teorie, diceva, perchè si teme la vita e si ha paura delle incertezze». Facendo dell'arte « una allegoria della creazione), e alla pari affidando se stesso all'arte come nessun altro artista prima di lui aveva mai fatto, Klee noti solo ci ha offerto una sconfinata lezione di libertà ma ha dato alle generazioni future una matrice inesauribile di spunti, di temi, di insegnamenti, di idee.
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